A SCUOLA DI FELICITÀ

Certe volte un evento supera le aspettative con cui lo hai immaginato.
È quello che è successo con l’incontro che abbiamo organizzato come Rosatinet, pensato come un semplice open talk sulla formazione e la scuola — e che invece si è trasformato in qualcosa di più profondo: un momento di ascolto, di connessione, di autentico scambio tra chi la scuola la vive ogni giorno.

In una cornice meravigliosa come la Biblioteca Sperelliana di Gubbio, ho voluto accanto a me due dirigenti che stimo molto, David Nadery e Maria Marinangeli, presidi eugubini capaci di guardare oltre la burocrazia e mettere al centro le persone.

E poi Filippo Stirati, oggi sindaco ma per una vita insegnante, che con il suo intervento ha portato in sala un tono umano e autorevole insieme, ricordandoci che “fare scuola” è un atto di cura, prima ancora che di trasmissione di sapere.

E infine lui, Enrico Galiano.
Chi ama la scuola lo conosce: insegnante in una periferia friulana, autore della webserie “Cose da prof”, anima dei #poeteppisti che imbrattano le città di versi.
Sul palco, Galiano ha parlato con la stessa intensità con cui scrive.
Ha raccontato la sua classe, i ragazzi che gli insegnano ogni giorno a guardare la vita con occhi nuovi.
E ci ha ricordato che non ti ascoltano, se tu per primo non li ascolti”.

Mentre lo ascoltavo, pensavo a quante volte, anche da formatrice, mi è capitato di sentirmi “ripetente”.
Di fronte a un gruppo nuovo, a un’aula silenziosa, a una domanda inattesa.
E ho riconosciuto in quelle parole la verità del suo ultimo libro, “Scuola di felicità per eterni ripetenti” (Garzanti):la felicità non è una lezione che si insegna, ma una che si impara ogni volta da capo.

Galiano scrive che sono i ragazzi a ricordarci ciò che nella vita si è sempre saputo, ma che a volte ci si rifiuta di sapere.
Che hanno ragione quando ridono, quando amano, quando si arrabbiano perché non si sentono ascoltati.
E ascoltandolo, quella sera, ci siamo sentiti tutti un po’ alunni: consapevoli che per quanta esperienza si accumuli, per quante strade si percorrano, restiamo sempre eterni ripetenti alla scuola della felicità.

Quando le luci si sono spente e la sala si è svuotata lentamente, ho provato una gratitudine profonda.
Per chi c’era, per chi ha ascoltato, per chi ha portato in aula la propria idea di scuola.
Ma soprattutto per i ragazzi — presenti o evocati — che ci ricordano, ogni giorno, il motivo per cui scegliamo di fare questo mestiere: per imparare a imparare ancora.