Tra algoritmi e emozioni: la scuola come laboratorio di umanità

Un percorso tra intelligenza artificiale ed emotiva: a Gubbio i docenti riscoprono il valore umano della didattica digitale.

Un percorso formativo a Gubbio su intelligenza artificiale e intelligenza emotiva

Lo ammetto, lavorare nella mia città mi emoziona sempre un po’ di più.

Se il progetto poi è per insegnanti è sempre bello.

In questa occasione sono stata chiamata a progettare e condurre un percorso che ha incrociato due intelligenze che oggi sembrano lontane, ma che in realtà si cercano a vicenda: quella artificiale e quella emotiva.
Due mondi che non si oppongono, ma si completano. Due linguaggi che, se impariamo a far dialogare, possono cambiare profondamente la didattica.

L’obiettivo del corso era semplice e ambizioso allo stesso tempo: restituire valore didattico all’intelligenza artificiale e, nello stesso tempo, ribadire l’importanza della dimensione umana ed emotiva dell’insegnamento.
Non un confronto tra “macchine e persone”, ma una riflessione su come la tecnologia possa diventare strumento di consapevolezza, non sostituto della sensibilità.

Abbiamo esplorato insieme strumenti di AI per la didattica: piattaforme di supporto alla scrittura, applicazioni per creare mappe concettuali, generatori di idee per progettare attività personalizzate.
Ogni volta, la stessa domanda aleggiava nell’aula:

“Come possiamo usare tutto questo senza perdere il senso educativo del nostro lavoro?”

Da lì si è aperta una conversazione bellissima.
Abbiamo parlato di emozioni, di empatia, di relazione.
Di quanto sia importante insegnare ai ragazzi non solo a usare l’intelligenza artificiale, ma a riconoscere le proprie emozioni di fronte al cambiamento.
Perché la vera sfida educativa, oggi, è aiutare le nuove generazioni a non sentirsi “inadeguate” di fronte a strumenti che sembrano sapere tutto.
A ricordare che la creatività, la sensibilità, la capacità di comprendere gli altri — quelle sì — restano qualità irripetibilmente umane.

Durante le attività, tra una riflessione e una risata, i docenti hanno condiviso esperienze di aula, timori e speranze.
C’è chi ha raccontato il bisogno di dare nuovi stimoli agli studenti; chi ha ammesso la difficoltà di stare al passo con le tecnologie; chi ha scoperto, quasi con stupore, che un’intelligenza artificiale può essere un’alleata nella progettazione didattica.

Abbiamo lavorato anche sulla consapevolezza emotiva come competenza professionale.
Attraverso semplici esercizi di scrittura riflessiva e attività di gruppo, abbiamo esplorato come le emozioni influenzano le scelte, la comunicazione, il modo di insegnare.
Perché un insegnante che riconosce le proprie emozioni è un insegnante più libero: può ascoltare, accogliere, guidare con autenticità.

Alla fine del percorso, la frase che è emersa con più forza è stata questa:

“Non vogliamo difenderci dall’intelligenza artificiale. Vogliamo imparare a dialogarci.”

E credo che in questa frase ci sia tutta la bellezza della scuola di oggi: una comunità viva, che non smette di cercare equilibrio tra innovazione e umanità.
Una scuola che sa che il futuro non è nei dispositivi, ma nelle persone che li usano con consapevolezza, emozione e senso.

Quando sono uscita da quell’aula, il sole di Gubbio filtrava tra le finestre e mi sono detta che forse questo è il compito più bello della formazione:
aiutare chi insegna a restare umano, anche quando tutto intorno sembra diventare artificiale.