Fare il formatore può voler dire tante cose.
Soprattutto in momenti come questo e soprattutto se sei, come nel mio caso, un professionista che si interfaccia con interlocutori diversi ed in ambiti anche molto distanti tra loro.
Poter cambiare e diversificare quello che faccio credo sia davvero un gran valore per la mia professione e per la mia vita. Qualcosa per cui sentirsi grati e fortunati.
Personalmente, poi, amo particolarmente il potermi spendere spesso in nuove sfide, dover ricominciare e cambiare in continuazione contesti, destinatari, attività. Certo, non è facile.
Richiede flessibilità, impegno e una certa voglia di sporcarsi le mani e di rischiare. Però fa parte della vita che ci siamo scelti, no?
Ecco, in questa prima parte del 2018 mi sono trovata a lavorare su fronti diversi: progettazione, aula, sviluppo di progetti di digital learning e ho dedicato tanto tempo alla gestione delle relazioni professionali. Ho fatto un sacco di slide, scritto un’ infinità di pagine (chissà poi se serviranno), parlato con così tante persone che la ragazzina timida che è ancora in me ogni tanto mi guarda disorientata.
Tutto bello e faticoso, in certi momenti proprio indispensabile e vitale.
Importante variare per capire, se ce ne fosse ancora bisogno, quale è il nostro posto perfetto. Quella situazione naturale in cui sentiamo di essere davvero noi stessi ed in cui riusciamo a cogliere in pieno il senso del nostro lavoro.
E per me, ormai lo so, il “posto perfetto” è l’ aula. Non si tratta di essere bravi ( siamo professionisti, diamo per scontato di esserlo nonostante ampi margini di miglioramento) si tratta di emozioni, di persone, di occhi che si incrociano.
Il senso di quello che facciamo, o per lo meno di quello che voglio fare io, è qui.
E ancora una volta devo ringraziare i miei ragazzi per avermelo ricordato. Questa volta parlo di ragazzi veri. Diciassettenni, liceali, belli, complicati e incasinati. Meravigliosi.
Due progetti diversi. Scuole diverse, città distanti, attività didattiche differenti.
Perché la vita un po’ e così. Passi anni a dire che non vuoi insegnare a scuola, rifiuti addirittura un ruolo perché preferisci diversificare e l’ idea del posto fisso ti spaventa ( si lo so che non sono molto normale…) e poi all’ improvviso ti trovi al Liceo e sei dall’altra parte.
E se poi il Liceo è il “tuo” quello in cui hai studiato e in cui hai letteralmente sofferto e vissuto parte delle emozioni più belle e più forti della tua vita, beh…..il tutto diventa ancora più forte.
Lo ammetto, la prima giornata è stata dura, con un carico di emozioni e di aspettative che quasi avevo dimenticato.
Sono stati mesi intensi, in cui ci siamo scoperti pian piano, reciprocamente, in cui abbiamo imparato a fidarci gli uni degli altri ed in cui abbiamo, insieme, provato a combattere qualche piccolo mostro.
Tipo quelli che abbiamo tutti. A 17 anni come a 40. E’ stato faticoso. Per me e per loro.
Abbiamo parlato di orientamento, di futuro, di talento e di scelte. Ma anche di paure, di limiti, di emozioni. Ci siamo raccontati tanta vita ed abbiamo provato a farlo sempre con il sorriso e guardandoci negli occhi.
Come sempre, qualche appunto a margine di queste esperienza:
- Non capisci il senso del concetto di responsabilità del formatore finché non lavori con i ragazzi.
- Dobbiamo smettere di parlare di loro senza averli prima guardati negli occhi .
- I ragazzi di oggi sono decisamente più svegli di noi.
- Crescere significa, anche, affrontare le paure.
- I ragazzi capiscono al di là delle parole, molto di più di noi adulti.
- Loro, i ragazzi, hanno bisogno di verità, di esempi e di serietà. E se provi a bluffare ti stanano subito.
- Il nostro resta sempre il lavoro più bello del mondo.
Sono fortunata. Siamo fortunati. Grazie!
Nella foto i miei ragazzi del Polo Liceale G.Mazzatinti di Gubbio. Un ringraziamento speciale alla tutor del progetto Pon “Costruiamo il futuro” Prof.ssa Maria Cristina Salciarini e alla dirigente Dott.ssa Maria Marinangeli.